6 gennaio 2008

David, un rivoluzionario senza rivoluzione

Due libri riaccendono il dibattito - Il processo e la condanna del Sant’Offizio prima dell’uccisione - Padre Pio, il misticismo e la religiosità popolare - Il nitido giudizio di Padre Balducci

Torna il “caso Lazzaretti”: sulla storia del profeta dell’Amiata, sulla sua vicenda umana, sulle sue visioni mistiche, sul suo pensiero e sulle pratiche sociali si ritorna a riflettere e si accendono nuove polemiche. Due libri, in particolare, hanno contribuito a riproporne la complessa vicenda umana e storica: il primo, di Luca Niccolai, è interamente dedicato al profeta dell’Amiata; l’altro, di Sergio Luzzatto, è in realtà su Padre Pio ma, nel secondo capitolo, un ampio spazio è dedicato proprio ai giudizi dati su David Lazzaretti da esponenti del mondo religioso italiano.
La novità del primo volume deriva dal fatto che sono stati rintracciati nell’archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede i documenti del processo che il Sant’Offizio intentò contro David. Si tratta di migliaia e migliaia di pagine raccolte in appositi faldoni. Quattro amiatini (Mauro Chiappini, responsabile della Fratellanza Giurisdavidica, cioè di quel resta del culto di David, Marcello Bianchini, Niso Cini e Luca Niccolai) si sono dati da fare per mettere il naso nelle preziose carte e, dopo avere superato non pochi fastidi legali e burocratici, sono riusciti a leggere e fotocopiare le parti più interessanti del processo. Luca Niccolai, partendo proprio da questa documentazione, ha scritto un volume che aggiunge un bel po’ di notizie sulla vita e sugli ultimi anni del profeta dell’Amiata (David, Lazzaretti, davanti al Sant’Offizio, edizioni Effigi).
Marcolino Cicognani, un prelato con la stoffa del grande inquisitore, nella sua relazione contro il barrocciaio di Arcidosso muove accuse lecite e illecite: da quella di praticare il comunismo (allora era ancora uno spettro che si aggirava per l’Europa) a quella di intrattenere rapporti con i movimenti eretici del vecchio continente; da quella di essere un truffatore a quella di sedurre e compromettere le giovani contadine del gruppo. “Da dieci anni mena rumore - scrive il prelato nella sua nota accusatoria - e fa non solo parlare di sé, specialmente per le sue visioni, profezie, strane dottrine religiose e sociali”.
Il processo viene imbastito nel 1877, cioè nel pieno dell’esperienza della “Società delle famiglie cristiane”, l’originale comunità fondata quattro anni prima: David era riuscito con il suo verbo a portare sul Monte Labbro centinaia di contadini e di diseredati con le loro famiglie per vivere e lavorare insieme. Su quella comunità si erano appuntati gli occhi delle autorità religiose e governative per i criteri collettivistici ai quali si ispirava che prevedevano la condivisione del lavoro e anche la parità dei sessi.
Il processo finisce male, il 1 di aprile, con David Lazzaretti scomunicato e con i due sacerdoti che l’avevano seguito sospesi a divinis. Il resto della storia è arcinota: David si ritira sul Monte in mezzo a nuove, gigantesche difficoltà e, a poco più di un anno da quella sentenza, viene ucciso dai carabinieri mentre guida una processione. La condanna, la passione e la morte. Altrettanto noto è quel che accade dopo la morte di David, con la Chiesa ufficiale intenta solo a tentar di sradicare dal popolo la fede in David; con lo studioso positivista Lombroso che ne studia il cranio per dimostrarne la pazzia; con la magistratura e il governo alle prese di lunghi processi e dibattiti parlamentari animati dal deputato socialista Cavallotti. Ma nessuno riuscirà ad intaccare quella complessa figura tanto che, qualche decennio più tardi, lo stesso Antonio Gramsci scriverà pagine indelebili sull’esperienza del profeta amiatino e sulla religiosità popolare. A cent’anni dall’uccisione, nel 1978, mentre l’Amiata ne ricordava la figura anche con uno spettacolo della Compagnia di Leoncarlo Settimelli, la rivista Civiltà Cattolica, nel 1978, ancora così dipingeva David: “Questo sciagurato era riuscito a fondare una nuova setta, non dissimile a quella di Fra Dolcino menzionato dall’Alighieri nel canto XXVIII dell’Inferno ed ebbe a finire di mala sorte come il Dolcino”. Guarda caso Fra Dolcino era ammogliato così come lo era Lazzaretti e predicava l’approccio diretto a Dio senza l’intermediazione delle strutture ecclesiastiche.
Più tardi, molto più tardi Agostino Gemelli, grande medico cattolico - è di questo che si occupa il volume di Luzzatto - nel redigere la famosa requisitoria nei confronti del santo di Pietralcina citerà più volte l’esperienza di David più che altro, non condividendo le idee lombrosiane, per distinguere i veri mistici dai “mistici da clinica psichiatrica”. La fede e la follia: un fenomeno che viene percorso con una rilettura della vita e delle opere di tanti mistici e santi che hanno fatto grande la Chiesa, da Paolo di Tarso a Ignazio di Lodola.
In questo ultimo approccio, molto unilaterale e funzionale alla narrazione su Padre Pio, mancano quei riferimenti che ci si sarebbero attesi sul millenarismo (le importanti pagine di Hobsbawn) e sulla religiosità popolare. Chi era davvero David? Tutti dimenticano, ad esempio, la sua giovanile passione che lo portò a combattere, a Castelfidardo, con indosso la camicia rossa dei garibaldini o sui ripetuti viaggi in una Francia zeppa di movimenti ribellistici ed eretici. E cosa ha davvero rappresentato? Come non considerare il fatto che fino a qualche tempo addietro, in montagna, si continuava a cantare la sua storia con queste parole ”Lassù sull’Amiata/ è morto Gesù Cristo,/ da vero socialisto/ ucciso dai carabinier”?
Mi è capitato più volte di parlare di David Lazzaretti con Padre Balducci. In una lunga intervista che sulla fine degli anni settanta mi rilasciò e nella quale si parlava di David, e dei profondi cambiamenti che stavano investendo la nostra montagna, ebbe a dire parole precise che assumono ora maggior rilievo proprio per il dibattito che si è riacceso: “Per rileggerei il fenomeno David utilizzerei un po’ le categorie che lo stesso Marx, e dopo di lui Gramsci, hanno fornito sul delicato argomento della religiosità popolare. Nell’esigenza religiosa popolare non c’è soltanto il riflesso di una miseria che si ribalta nel sogno di una realtà utopica, di una realtà impossibile e quindi assolve ad una funzione consolatoria e quindi alla fine negativa. Ma c’è anche un altro elemento; essa esprime una protesta contro la miseria esistente e quindi è lo sgorgare di un’utopia umana che in forme mitiche contiene già in sé un progetto politico. La transizione dalla fase mitica alla fase razionale segna una continuità e insieme un distacco da quel momento. Quindi io penso che in “quel comunismo” ispirato alle prime comunità cristiane (non dobbiamo dimenticare che l’utopia del Lazzaretti non rimase semplicemente un’agitazione luminosa delle coscienze ma diventò operazione concreta con la nascita della cooperativa ispirata a criteri comunistici) aveva solo il difetto di essere fuori contesto, di essere cioè “una rivoluzione senza la rivoluzione”.

(Pubblicato sul Corriere di Siena del 6/1/2008)

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