26 maggio 2008

Bondi e le brutte figurine

In una delle sue prime uscite da ministro Bondi ha rivendicato la proprietà di Don Lorenzo Milani che dovrebbe, quindi, esser prontamente dalla sinistra restituito a lui e alla sua Casa. Insieme a Don Milani la sinistra dovrebbe prontamente restituire altri territori culturali e morali indebitamente a suo tempo annessi, come l’opera e il pensiero di Giorgio La Pira e Padre Ernesto Balducci. Si capisce ora perché Bondi è stato nominato ministro dei beni culturali: Berlusconi vuole ricomporre il Pantheon di Casa e ha dato mandato al suo uomo di cultura di impossessarsi di nomi di peso: basta con le veline e le soubrette, servono pensatori e uomini di azione. D’altra parte Berlusconi e Bondi si sono messi a giocare un gioco che in Italia è assai noto e praticato, quello delle Belle Figurine. Mentre Pasolini viene rivendicato da certi cattolici per la sua "adesione alla tradizione cristiano-rurale" si annunciano aste per filosofi, santi e navigatori purché abbiano un passato da personaggi di sinistra. Una sola domanda mi sorge a proposito del colpo di teatro di Bondi: è la stessa che si è posto oggi, su La Stampa, Marco Belpoliti: "Don Milani di sinistra? Io credo che i suoi interpreti non abbiano mai letto nulla di lui". Così come, sostengo io, nulla sanno di Padre Balducci, figlio dell’Amiata, che non solo ha scritto pagine memorabili sulla pace e sul ribellismo dei popoli oppressi ma è stato anche condannato a sei mesi di reclusione per aver scritto, nel 1963, un articolo a favore dell’obiezione di coscienza. In questo gioco delle figurine sarebbe bene che Bondi e soci lasciassero stare simili personalità e si accontentassero di ritrovarsi nelle loro fila i nani e le ballerine di turno. Si accontentino di Venditti.

2 maggio 2008

Era sempre lui a dirci come stava

Il saluto ad un caro amico e ad un grande collega

Era sempre lui a dirci come stava, a dettagliare, come se stesse redigendo un bollettino medico, il suo stato di salute. Lo faceva con la meticolosità di chi l’arte medica la conosce bene per le molte frequentazioni amicali e culturali e per averla saputa ben divulgare in anni e anni di onorata professione. Lo faceva con semplicità e ironia ma poi, per non metterci a disagio e quasi a ripagarsi e ripagarci della pena inflitta, ci conduceva per mano nei profondi meandri di una sconfinata memoria urbana fatta di persone e di affetti, di intrecci politici e culturali, dipanando con la maestria del narratore, anche le storie a prima vista inestricabili. Sapeva tutto di Siena, della sua politica e del suo giornalismo, perché conosceva davvero la città, quella alta e quella bassa, e perché conosceva i suoi polli, quelli ruspanti e quelli di allevamento, quelli che erano avvezzi a chinar la testa e quelli che sapevano tenerla dritta, senza ricorrere ai mutevoli giochi di prestigio. Negli ultimi tempi la sua proverbiale e sorridente ironia (autentica, perché poggiava sul pilastro dell’autoironia) aveva lasciato il posto ad una malinconia esistenziale. Sicuramente questo stato d’animo gli derivava dall’esser lui il narrante di una “Cronaca di una morte annunciata” - la sua - ma anche dal fatto che vedeva crescere smisuratamente la malapianta della mediocrità e sfiorire la passione civile. Ieri, Primo Maggio, non è stato più lui a dirci come stava. Nel silenzio se ne era andato, con il suo solito stile.