2 giugno 2008

Rancore e identità

Molti osservatori ritengono che il rancore abbia giocato un ruolo importante nel comportamento elettorale degli italiani. Un rancore di tantissimi elettori verso i Palazzi o verso l’indistinta Casta; rancore per tasse ritenute troppo esose o per provvedimenti di riforma male sopportati da questa o da quella lobby ( vi ricordate la ribellione dei tassisti di Roma?); rancore per uno Stato incapace di difendere i cittadini dal caos e dalla violenza importata dai nuovi barbari, immigrati o rom che fossero.
Ma cos’è il rancore? Così lo definisce Tullio De Mauro nel suo Dizionario: "sentimento di avversione profonda, di risentimento verso una persona, un ambiente, una situazione, maturato in seguito ad una offesa o a un torto e non manifestato apertamente”. Questo sentimento sembra essere uno dei tratti unificanti della nuova ondata populistica che ha premiato il centro destra e che sta contrassegnando molti comportamenti sociali di queste settimane, dall’inquietante vicenda del quartiere romano del Pigneto alle prepotenze dei nuovi neo-nazi all’Università La Sapienza.
Staremmo dunque attraversando una fase nella quale parti consistenti di cittadini mal sopportano i disagi economici e le frustrazioni politiche derivanti dai profondi cambiamenti in atto come, ad esempio, quelli provocati dalla globalizzazione e dalle massicce migrazioni che ne derivano. In queste fasi di regresso sociale la nostalgia di "comunità" può portare ad un diffuso risentimento verso tutti coloro che la ostacolano o che la minacciano.
In un libro che sta avendo riscontro sia tra i lettori che tra gli analisti politici, Il rancore. Alle radici del malessere del Nord, Aldo Bonomi traccia i luoghi e individua i fattori del profondo cambiamento che ha investito il Nord Italia, una sorta di “Apocalisse culturale” nella quale si sono alimentati i tanti malesseri sui quali la Lega di Bossi ha costruito le proprie fortune politiche ed elettorali. Un’apocalisse nella quale molti si sono sentiti orfani della politica che si praticava nella grande fabbrica fordista (pensiamo alle divagazioni - anche in campagna elettorale - di certa sinistra radicale o ai disagi che ne sono derivati al sindacato). Un'apocalisse che ha creato città senza limiti, fatte di non luoghi dove le persone non riconoscono più i posti abituali, dalle strade alle piazze, con le comunità che le abitavano. Città estranee per di più occupate da stranieri portati dal vento della globalizzazione, lo stesso vento che la Lega di Bossi ha per prima fatto sponda a questo malessere, proponendo una versione più radicale e più raffinata della già nota proposta politica basata sull'identità. Berlusconi, con indiscusso fiuto politico, ha offerto una cornice ideologica a queste spinte leghiste, con la teoria “dell’individualismo proprietario” e il peso del suo potere mediatico. Infine l’abile Tremonti ha chiuso il cerchio offrendo una visione economica e sociale di chiara marca protezionistica agli effetti più negativi della globalizzazione: una risposta rilevante, forse l’unica venuta dalla destra italiana, alle elaborazioni dei “no global” di qualche tempo fa.
Insomma, parafrasando il vecchio Marx, potremmo recitare: "spaventati di tutto il mondo unitevi". Unitevi per esaltare il localismo e l'intoccabilità del giardino di casa (per poi, magari, pagarne le conseguenze come in Campania); unitevi contro ogni forma di diversità; unitevi contro chi minaccia la vostra sicurezza; unitevi contro il pericolo dei barbari che ci circondano e che minacciano la nostra integrità. “Combattere qualcuno - ha recentemente ricordato Umberto Eco - è anche un modo per definire la nostra identità”. Cosa ci dicono le "ronde verdi" a Colle Val d’Elsa, se non questo?
Anche Barbara Spinelli, commentando il risultato del voto su La Stampa, ritiene che tra le cause della vittoria del centro destra debba essere inserito il risentimento: “... Tra esse c’è il risentimento, questa passione che dà immenso ardimento all’individuo che si sente abbandonato e solo nella società, e che il massimo della potenza la raggiunge quando diventa risentimento territoriale, tribale, di classe”.
Il diffuso senso di risentimento e di rancore (contro il quale tutta la sinistra, compresa quella locale, dovrebbe prontamente vaccinarsi) è dunque una delle cause che sta alla base dell’antipolitica e porta, chi lo pratica, ad individuare nelle caste e nelle castarelle i nemici da combattere. Ma chi ne trae vantaggio? L’antipolitica - al di là degli insulti con i quali condisce gli attacchi a singole personalità della politica nazionale e locale - poggia proprio su questo sentimento di rancore che può essere sia di natura individuale che appartenere a interi gruppi sociali. Ha scritto Lucia Annunziata, sempre su La Stampa: "L'antipolitica ha battuto nei mesi scorsi su una pubblicistica moraleggiante, descrivendo le élite politiche con categorie ineffabili, e crudeli - salotti, radical-chic - descrivendo una società divisa in due, con da una parte un luogo dorato e quieto, di scambi di parti, di ruoli e di favori, dall'altra il luogo dei bisogni reali, concreti e solidi, della gente". Da una parte, quindi, le caste e dall'altra il popolo. Ma perché la casta e le caste sono state identificate sia sul piano nazionale che locale con i governi di centro-sinistra? E comunque perché è stato questo schieramento a rimmetterci le penne? Non solo perché le regole di trasparenza e partecipazione e la promesse di egualitarismo e di uno "Stato amico e padre" dovrebbero far parte (hanno fatto parte) del programma della sinistra ma soprattutto perché agli occhi di chi sceglie la sinistra le pensioni parlamentari, le macchine blu, il balletto degli incarichi che in genere riguardano sempre le stesse persone - la cosidetta "mastelllizzazione" dei partiti - diventano i simboli della disparità dei loro rapporti con chi li rappresenta. E avviene il distacco.
Questi fenomeni e ancor più i contenuti simbolici con i quali vengono rappresentati sono da prendere in seria cosiderazione anche dalle nostre parti, dove pure restano forti i valori etici e morali diffusi dalla sinistra. Il problema, infatti, non sta solo in ciò che i politici concretamente fanno ma in come vengono rappresentati e, alla fine, percepiti. Il centrosinistra e il Pd sono chiamati a riflettere su questi argomenti proprio mentre, come stanno facendo, costituiscono i loro gruppi dirigenti.